IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Sciogliendo la riserva di decidere  espressa  all'udienza  del  1½
 ottobre 1992, ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Sentiti  il  p.m.  e  la  difesa, nel procedimento di sorveglianza
 iscritto al n. 1019/92 r.g.t.s. promosso dalla questura di Perugia ex
 art. 15, n.c., della legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356,  con
 le seguenti osservazioni.
    Sulla  falsa  riga  dell'ordinanza  n.  2843/92, in data 27 giugno
 1992, trasmessa alla Corte  costituzionale  il  5  agosto  1992,  del
 tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze,  anche  questo tribunale di
 sorveglianza reputa essere incostituzionale la nuova normativa di cui
 alla prima parte del primo comma dell'art.  4-  bis  della  legge  26
 luglio  1975, n. 154, come modificato dall'art. 15 del d.l. 8 giugno
 1992,  n.  356,  art.  15,  ultimo  comma,  per  quanto  attiene   al
 procedimento de quo.
    Il  detenuto  Mazzeo Mariano, condannato per concorso in sequestro
 di persona a scopo estorsivo, avendo meritato in maniera superlativa,
 nell'arco di tempo della detenzione  a  Perugia,  ed  avendo  trovato
 favorevole  sistemazione  per  lavoro  all'esterno,  con ordinanza n.
 213/91, in data 28 marzo 1991, dopo alterne vicende, ha  ottenuto  di
 essere ammesso a regime di semiliberta' e in questo anno di attivita'
 lavorativa  all'esterno  non  ha  minimamente demeritato; anzi, si e'
 distinto  per  la  sua  spiccata  laboriosita',  per  l'educazione  e
 l'esternato   senso   umano  posto  nell'espletamento  dell'attivita'
 lavorativa di cui sopra.
    Improvvisamente, quale fulmine a  ciel  sereno,  l'art.  15  della
 legge  n. 356 del 7 agosto 1992 ha determinato segnalazione, da parte
 della questura, di non  collaborazione  del  Mazzeo  Mariano  con  la
 "Polizia",  il  che dovrebbe portare alla revoca della semiliberta' a
 suo tempo concessa al detenuto di cui sopra che, obiettivamente,  non
 ha  modo  di  collaborare, perche' il procedimento penale di condanna
 che lo riguardava, si e' concluso in forma piena  e  definitiva,  ne'
 versa,  neppure, nella condizione di attivarsi quale delatore sincero
 di un  qualche  fatto  o  personaggio  che  alla  giustizia  potrebbe
 interessare.
    Cio'  significa,  a parere del tribunale, che al semilibero Mazzeo
 Mariano, poiche' ad impossibilia nemo tenetur, e'  stato  privato  il
 diritto  ad  una  difesa  che  la  nostra  Costituzione, all'art. 24,
 prevede  quale  "diritto  inviolabile  in  ogni  stato  e  grado  del
 procedimento"Ý
    Con  la  norma  che  si  contesta come incostituzionale e' rimasta
 esclusa la garanzia di contraddittorio, con riduzione del diritto che
 compete ad ogni cittadino della nostra Repubblica, nel senso che quel
 diritto e' da ritenersi escluso dalla derivata impossibilita' per  il
 soggetto  di  partecipare ad una effettiva dialettica processuale. La
 normativa vigente allo stato, condizionando un vero e proprio diritto
 del soggetto alla c.d. "collaborazione", vincola il soggetto medesimo
 ad una linea difensiva, negandogli, pertanto, la liberta'  di  scelta
 garantita  costituzionalmente,  con  la  costrizione legislativa alla
 "collaborazione processuale" e, quindi, ad una particolare  linea  di
 difesa  (come  dire  che  e'  assolto  soltanto  colui  che  in  sede
 processuale renda piena ed ampia confessioneÝ) per ottenere  benefici
 penitenziari.
    In  altre  parole,  al soggetto si preclude, a causa della mancata
 collaborazione, l'accesso alla fruizione di un diritto, anche  quando
 - come nel caso di specie - la "collaborazione" richiesta dalla legge
 non e' possibile e si tratti di un soggetto - come nella specie - che
 ha  gia'  compiuto  un  ottimo  percorso  rieducativo  e  continua  a
 percorrerlo positivamente.
    Altro  rilievo   di   incostituzionalita'   della   normativa   in
 contestazione   e'   quello   della   mancata  previsione  della  non
 retroattivita' delle norme, con conseguente violazione dell'art.  25,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  che prevede che: "Nessuno puo'
 essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
 prima del fatto commesso".
    Il   principio  della  irretroattivita'  della  legge  costituisce
 principio generale del nostro ordinamento (art. 11 delle  preleggi  e
 Corte  costituzionale  4 aprile 1990, n. 155) e va osservato anche in
 materia di rieducazione penitenziaria che rientra nell'ambito, con le
 norme a tanto preposte, della materia penale dell'ordinamento.
    E, per concludere, un ultimo rilievo di incostituzionalita'  della
 norma  (ultimo comma dell'art. 15 della legge), con palese violazione
 degli artt. 25, primo comma, della Costituzione; 101, secondo  comma,
 della  Costituzione;  109 della Costituzione; 111, primo comma, della
 Costituzione.
    La  norma  in   discussione,   invero,   sacrifica   la   funzione
 giurisdizionale   della   magistratura  alla  discrezionalita'  della
 competente autorita' di polizia (soltanto la  questura?)  che,  senza
 svolgere   alcuna  attivita'  di  pre-accertamento,  segnala  (o  non
 segnalaÝ) la "non collaborazione" di questo o di quel  soggetto  che,
 condannato  per  determinate  ipotesi  di reato previste dalla legge,
 versi in determinate condizioni.
    In pratica, il momento decisionale viene, di fatto,  sottratto  al
 giudice  naturale  precostituito  per legge, che per la revoca di una
 misura alternativa e' il tribunale di sorveglianza, il quale  finisce
 per prendere atto, su segnalazione del magistrato di sorveglianza, di
 un  apodittiva informativa in negativo della autorita' di polizia con
 riguardo alla sussistenza di una collaborazione o meno  del  soggetto
 di cui si tratti.
    Per  inciso,  una  finalissima  considerazione che vuol essere una
 domanda, con risposta, al supremo Consesso della nostra giustizia: la
 "collaborazione" (o la "non collaborazione") deve essere "attuale"  e
 per  un  avvenimento  attuale (visto che il legislatore, all'art. 15,
 usa l'indicativo presente), ovvero e' possibile il riferimento ad  un
 fatto del passato, giudicato o meno?